OMELIA DI S.E. MONS. VISCO: 25° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di don Giovanni Branco

omelia alla celebrazione della messa di ringraziamento

per il 25° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di don Giovanni Branco

Capua, Basilica Cattedrale

11 giugno 2018

 

Carissimi confratelli nel sacerdozio, diaconi, consacrate e fedeli laici, siamo oggi radunati per ringraziare il Signore. È con noi anche mons. Lagnese – don Pietro per voi – che ha voluto essere presente a questa celebrazione soprattutto per la lunga amicizia che lo lega a don Gianni.

Ogni volta che i cristiani si raccolgono per celebrare l’Eucaristia, celebrano un ringraziamento. Eucaristia infatti, come sapete,  significa ringraziamento. È il più grande, il più alto ringraziamento che la Chiesa ogni giorno offre al Padre nello Spirito: il sacrificio di Cristo morto e risorto per noi. Viene offerto per i vivi e per i morti, sempre, nei momenti di gioia e nelle situazioni di dolore fisico e sofferenza morale personali o comuni.

Nella prima lettura offerta alla nostra riflessione, Paolo, prigioniero a Roma, esorta gli Efesini a comportarsi in maniera degna della chiamata ricevuta, sopportandosi a vicenda nell’amore (cfr. 4, 1-2) “avendo a cuore di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace” (4, 3). Comportarsi in maniera degna della vocazione ricevuta, sopportarsi vicendevolmente nella Carità, conservare l’unità dello Spirito nella pace. È una preoccupazione che troviamo in tutti i suoi interventi – ricordate particolarmente le lettere ai Corinti e ai Colossesi – ma credo che sia l’ansia pastorale di qualsiasi pastore che ha naturalmente a cuore il gregge di Cristo che gli è stato affidato. Nel brano evangelico di oggi, la conclusione del Vangelo di Matteo con l’assicurazione della presenza del Risorto nella Sua Chiesa fino al termine della storia c’è l’invio: Andate, predicate, battezzate, insegnate a tutti a osservare ciò che vi ho comandato (cfr. Mt 28, 20); è un mandato che dà non solo onore a chi deve compierlo, ma che racchiude anche oneri, incomprensione, sofferenza e, talvolta, persecuzione oggi non cruenta in occidente, ma ugualmente dolorosa che può esprimersi con la maldicenza, la cattiveria, il superficiale giudizio o la calunnia.

Quella manifestata dall’Apostolo, comportarsi in maniera degna della vocazione ricevuta, sarà stata, ed è, l’ansia pastorale di don Gianni che in questi lunghi (o brevi) – dipende da come se li sente – anni di sacerdozio, ha vissuto e sta vivendo sperimentando, con tanti altri suoi confratelli sacerdoti, esperienze contrastanti come traguardi che sembrano o sono realmente raggiunti (questo perché la reale valutazione è esclusivamente di Dio), oppure il dispiacere per un fallimento di una proposta o per un risultato che sembra, o è realmente, non acquisito (ma anche per questo il vero giudizio spetta solo al Signore).

Sull’esempio di Paolo, chiunque, nella Chiesa, ha la responsabilità di guidare il popolo di Dio, deve innanzitutto vivere personalmente “in maniera degna la chiamata ricevuta” e, conseguentemente, esortare coloro che gli sono affidati a farlo con integrità allo scopo di “avere a cuore la conservazione dell’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace”.

È un chiaro richiamo all’accorata preghiera di Gesù al Padre: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 20-21). Sembra strano ma spesso dimentichiamo che il centro di tutto l’annuncio cristiano – la morte e risurrezione di Gesù – passa attraverso la quotidiana testimonianza dei fedeli che si vogliono bene, che si sforzano di farlo e, conseguentemente, lo fanno vedere.

Perché il mondo creda. Se non viviamo l’unità il mondo non crederà e il Regno di Dio non potrà svilupparsi, il seme resterà tale perché non viene ben seminato, resta in superficie, non muore e quindi non può portare frutto. Il segreto è tutto qui. “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.(Gv 12, 24). Sono le parole di Gesù; non sempre ci fa piacere doverlo provare, ma è così.

Come è attuale il ragionamento di San Paolo! Conservare l’unità dello Spirito.

Come si conserva l’unità dello Spirito che è già stato donato? Lasciandosi inondare dai Suoi doni e assecondando la Sua azione senza frapporre ostacoli umani che nascono dall’egoismo o dalla presunzione.

Per questo Paolo aggiunge: “Un solo corpo e un solo Spirito come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti”. I cristiani cioè sono il Corpo mistico di Cristo, ma questo corpo non è la semplice risultanza di un insieme di elementi, è invece preesistente ai membri stessi perché è per mezzo del Battesimo che il credente viene inserito nel Corpo.

La Chiesa nasce sul Calvario: il segno lo vede e lo sottolinea l’evangelista Giovanni che era presente: il soldato squarcia il cuore al Signore crocifisso e vede uscirne sangue e acqua; l’acqua del Battesimo e il sangue dell’Eucaristia. La comunità (gli apostoli e i discepoli) è dispersa, ma la Chiesa c’è, è nata quando Gesù, reclinato il capo, rese-donò lo Spirito. C’era la Madre Maria, poche donne e Giovanni, l’unico apostolo che resta. Questa è la Chiesa nata dal costato del Crocifisso.

Poi gli altri, i dispersi per paura, ritorneranno e si riuniranno, ma la Chiesa c’era già senza di loro perché non è opera umana ma opera di Dio.

Ancora San Paolo – è la parte finale del brano che abbiamo ascoltato oggi e sul quale stiamo riflettendo – : “A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”.

Lo scopo è questo, la santificazione dei credenti rendendoli idonei a compiere il ministero per l’edificazione del Corpo di Cristo.

 

Carissimo don Gianni, quello che stiamo vivendo insieme ai tuoi genitori, i fratelli con le loro famiglie e quanti con te ringraziano Dio, è un momento importante, ma lo saranno anche il 26°, 27° e tutti gli altri anniversari che verranno e che ricorderai con immensa gratitudine verso il Signore che ti ha scelto come presbitero in questa Chiesa di Capua, responsabile di un prezioso e delicato servizio che esprimi appunto come servo della Comunità che ti è stata affidata, illuminando i fedeli con la luce della Parola di Dio, santificandoli con i Sacramenti, accompagnandoli con l’impegno della Carità verso i più disagiati. Che tu possa essere sempre più trasparenza piena della Luce del Signore superando le opacità che possono emergere dalla nostra umana natura; che possa essere veicolo della Grazia sacramentale vivendo con i tuoi fedeli la bellezza, la dignità e la solenne semplicità della Divina Liturgia; che possa continuare con sempre rinnovato e generoso impegno a esprimere vicinanza, comprensione e condivisione nel difficilissimo compito di accompagnare i feriti dalla vita soprattutto quando non ti sentirai compreso o apprezzato.

Sono certo che sei cosciente di questo: la sintesi la può fare solo Dio, gli uomini possono inutilmente tentare, ma non indovinano mai.

Ti affido alla materna protezione di Maria Santissima perché ti guidi nelle valutazioni e nelle scelte pastorali, ti suggerisca come riporre prudentemente la fiducia, ti liberi dallo scoraggiamento e dalle delusioni e ti insegni – come Lei ha vissuto – a conservare tutto nel tuo cuore e meditarlo, illuminato dalla Grazia di Dio.

 

✠ Salvatore, arcivescovo

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