OMELIA DI S. E. MONS. SALVATORE VISCO: SOLENNITA’ DI S. AGATA

 

Gesù nella sua predicazione non blandisce quelli che accorrono ad ascoltarlo, non li attira con promesse di una facile esistenza ricca di umane soddisfazioni, parla invece di rinnegare se stessi, perdere la vita per lui, prendere la croce; tutte cose che cozzano contro l’umano attaccamento alla propria persona che tutti desiderano tutelare al massimo evitando, per quanto possibile, ogni situazione che induca disagio o possa produrre dolore.

Dopo il riconoscimento da parte di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Messia”, il Signore spiega chiaramente il senso del suo messianismo che non sarà caratterizzato dalla potenza terrena e dalla vittoria su quelli che gli Apostoli consideravano i nemici ma dalla umiliazione della croce. Nello sconcerto di tutti Gesù afferma che questo progetto non riguarda solo lui ma anche tutti coloro che vorranno seguirlo.

Chi vuol salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Lc 9, 24)

Anche questo sembra incomprensibile; cosa vuol dire perdere per salvare?

 

Il brano ora proclamato, tratto dal Vangelo di Matteo, è forse il più significativo circa la risposta che Gesù si aspetta da coloro che si propongono per essere suoi discepoli indicando il parametro fondamentale che qualificherà i suoi veri seguaci: “Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò… chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”

Seguire Gesù allora richiede una scelta, spesso difficile e talvolta dolorosa ma riempie la vita e dà senso all’esistenza: è la scelta della testimonianza.

Già nell’Antico Testamento – è la prima lettura di oggi, il testo tratto dal libro dei Maccabei (II secolo a. C.) – si racconta il coraggio di sette fratelli che affrontano la morte per non rinnegare la fede dei Padri durante la persecuzione di Antioco IV Epifane.

Sapete che martire vuol dire testimone. Oggi celebriamo la solennità di S. Agata vergine e martire, che offre la sua vita per Cristo. La offre e la ritrova in Lui; il martire è il supremo testimone.

Subì il martirio a Catania in una delle persecuzioni più cruente della storia delle origini del cristianesimo, sotto l’imperatore Decio (249-251).

Il racconto della morte, tramandatoci puntualmente attraverso i secoli, è uno dei primi esempi di testi agiografici che non hanno solo una valenza storica ma sono soprattutto la presentazione di una testimonianza di fedeltà alla professione cristiana offerta come esempio alle giovani generazioni.

I martiri prendono sul serio le parole del Maestro tratte dal brano evangelico di oggi: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima… perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate timore”.

Nella seconda lettura di oggi San Paolo ricorda ai Corinti quanto sta avvenendo nella primitiva comunità cristiana: “Ci presentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni…ma sempre con parole di verità, con la potenza di Dio” (Cfr. 2Cor 6, 4-5.7).

 

 

Il martirio cruento, la testimonianza del sangue è ancora attuale nel nostro mondo nonostante 20 secoli di cristianesimo. Sono ancora molti i cristiani, vescovi, sacerdoti, religiose e laici che vengono uccisi per la loro fede perché non hanno paura di quelli che uccidono il corpo ma non hanno il potere di uccidere l’anima. Spesso le notizie dei mezzi di comunicazione ci parlano di attentati e uccisioni nelle chiese cattoliche in diverse parti del mondo.

Il 27 gennaio scorso Papa Francesco ha emesso il decreto di riconoscimento del martirio di P. Pietro Claverie, domenicano, vescovo di Oran ucciso da una bomba all’ingresso della sua casa in Algeria nel 1996 perché denunciava la violenza di un gruppo islamico armato. In un paese devastato dall’odio, la morte di mons. Claverie ebbe però anche un significato altamente simbolico, colto dagli uomini di buona volontà di ogni razza e credo religioso. Nell’attentato morì anche il suo autista musulmano rendendo indistinguibile il sangue dei due mischiato sull’asfalto. Fu un segno per la piccola minoranza cristiana della Chiesa di Algeria che in quegli anni visse la sofferenza insieme a moltissimi musulmani che hanno pagato e pagano con la vita l’impegno di rifiutare la violenza.

Insieme col vescovo Claverie, sempre il 27 gennaio scorso Papa Francesco ha riconosciuto martiri altri 18 tra frati e suore che dal 1994 al 1996 furono uccisi in Algeria “in odio alla fede”; tra loro i 7 monaci trappisti di Tibhirine la cui vicenda è raccontata da uno splendido film Uomini di Dio uscito nel 2010 che vi invito, se vi sarà possibile, a vedere.

Scriveva monsignor Claverie: «Il dialogo è un’opera che va continuamente ripresa: è la sola possibilità di disarmare il fanatismo, in noi e nell’altro. È attraverso il dialogo che siamo chiamati a esprimere la nostra fede nell’amore di Dio che avrà l’ultima parola su tutte le potenze di divisione e di morte».

 

La solennità di S. Agata ci dà l’occasione non solo di venerarla come nostra patrona chiedendo la sua intercessione ma anche di scorgere, nel divenire del tempo, la lunga catena di testimoni del Vangelo che, nonostante la debolezza e talvolta l’infedeltà purtroppo presente nella Comunità cristiana, continua a risplendere nella Chiesa con l’esempio e il coraggio di quanti sono pronti a donare la vita per Gesù.

 

Oggi la nostra celebrazione è stata sostenuta dai canti degli alunni del Liceo musicale di Capua. I giovani, in famiglia e a scuola, sono introdotti nella esperienza quotidiana della vita in un mondo non sempre sereno e accogliente.

Si può rischiare di valutare il tempo che viviamo con accenti di pessimismo e di sfiducia, e spesso potremmo averne i motivi.

Già al tempo di S. Agostino molti dicevano che i tempi passati erano migliori. Il Santo Vescovo di Ippona lo contestava dicendo che questi lo affermano perché non c’erano (Discorso 311).

“Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene e i tempi saranno buoni.

Noi siamo i tempi”.

Carissimi fratelli, noi siamo i tempi, noi qualifichiamo – nonostante il male – la nostra esistenza e, col nostro buon esempio, potremo rendere migliori coloro ai quali giungerà la nostra testimonianza di una vita retta e rispettosa.

Il dialogo, aperto a tutti, anche a quanti sembrano indifferenti o ostili al messaggio di Gesù è la strada per costruire relazioni limpide e sperare, ogni giorno, in un mondo diverso che viva nella giustizia e nella pace.

Capua, Basilica Cattedrale

5 febbraio 2018

 

✠Salvatore, arcivescovo

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