OMELIA ALLA CELEBRAZIONE DELLA MESSA ESEQUIALE DI DON ANTONIO IADICICCO

Santa Maria Capua Vetere,

chiesa parrocchiale S. Maria Maggiore e San Simmaco Vescovo.

12 giugno 2019

Il 9 settembre dello scorso anno lasciava questa terra don Luigi Moretti, un sacerdote della nostra Chiesa locale quasi coetaneo di don Antonio per il quale stiamo offrendo il sacrificio eucaristico.

Anche ai suoi funerali, celebrati l’11 settembre in questa chiesa, oltre ai presbiteri e le consacrate, c’erano tanti fedeli laici come oggi – soprattutto giovani – venuti per la preghiera e per dargli l’ultimo saluto in terra.

Questo mi porta a pensare che in una società che sembra indifferente al sacro e vuole prepotentemente vantarsi dell’esclusione di Dio dal suo orizzonte giudicando inutile il ministero dei ministri ordinati, molte persone sono invece attirate e affascinate da figure sacerdotali che, con tratti diversi, testimoniano nel visibile la realtà non visibile e manifestano con la vita la presenza di Dio-Amore attraverso la loro vita di dedizione e di servizio disinteressato e amorevole.

Molteplici le testimonianze a questo proposito, da singole persone e gruppi associati, dalle Comunità parrocchiali al carcere in cui fino a ieri, dopo anni, il personale e i detenuti domandavano ancora: “Come sta don Antonio?”.

Tutti abbiamo sperimentato in questo sacerdote il dono che il Signore ci ha fatto; io lo consideravo “il parafulmine” della nostra diocesi per la costante, quotidiana offerta della sua sofferenza e la sua preghiera. Tutti ci sentivamo accolti dal suo delicato e quasi impercettibile sorriso e andavamo via, dopo averlo incontrato, pieni della gioia che trasmetteva.

Molti che si recavano a trovarlo, andando via si dicevano: “sono venuto per confortarlo e me ne sono andato confortato da lui”.

Dalla sua cameretta seguiva le esperienze di quanti gli si rivolgevano e si interessava della vita ecclesiale della diocesi; domande e risposte evidenziavano un’attenzione e una conoscenza degli eventi non pensabile in una persona completamente bloccata nel fisico e così sofferente. Fino a non molto tempo fa, quando riusciva ancora a utilizzare lo strumento del comunicatore, appena entrati si sentiva la voce sintetica da lui comandata con gli occhi che ti accoglieva con “Benvenuto!”.

Don Antonio nella sua malattia è stato amorevolmente custodito e assistito da persone esemplari: la mamma, i fratelli, la sorella, le cognate, il cognato, i nipoti, anche i più piccoli, è stato accompagnato dai parenti e da tanti amici giovani e meno giovani che per anni l’hanno vigilato di notte per consentire alla famiglia di riposare un po’.

Don Antonio era e si sentiva libero figlio di Dio perché sperimentava, accogliendola, la potenza dello Spirito.

Il brano della prima lettura tratta dalla lettera di San Paolo ai Romani, parla della libertà dei figli di Dio, che hanno ricevuto uno “Spirito che rende figli adottivi” e, se tali, “anche … eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria”. E poi aggiunge: “Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi”. Nella seconda ai Corinti l’Apostolo approfondisce questo concetto invitando a confrontare il limitato segmento dell’esperienza storica umana e il futuro eterno che ci aspetta: “Infatti il momentaneo peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento quelle invisibili invece sono eterne”.

Credo che don Antonio, nel suo portare la croce della perfetta sequela dietro al Maestro, abbia chissà quante volte riflettuto sulle parole di San Paolo “anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno”. Una esperienza di sofferenza umana non vissuta quasi estraniandosi e rinchiudendosi in una gabbia di dolore, ma aperta a qualcosa che nasce appunto dal macerarsi del “chicco di frumento”.

Come è vera, carissimi fratelli, questa parola di Gesù contemplata nel vissuto di don Antonio. Dalla cattedra del dolore senza lamento, ha fatto fruttificare il dono della serenità donata a quanti cercavano accoglienza e conforto.

San Paolo parla di caducità della creazione che spera nella liberazione dalla schiavitù della corruzione. L’Apostolo ipotizza un coinvolgimento cosmico – l’intera creazione – dal micro al macro-cosmo in continua nascita, in perenne crescita verso la piena realizzazione della vocazione dell’uomo e della natura. C’è un parallelo tra corruzione-morte con la conseguenza di un impedimento non eludibile che ti blocca nel raggiungere un fine che trascende quello che si vede e si tocca.

La corruzione del corpo e infine la morte, sembra oggettivamente impedirti di raggiungere il fine che trascende la materia. Proprio a questa umana impossibilità risponde la gloria della Risurrezione di Cristo, partecipata ai discepoli che credono in Lui. Per questo la conclusione del discorso di Paolo nel brano letto in questa questa celebrazione, utilizza la metafora della partoriente: “Sappiamo che tutta la creazione geme e soffre le doglie del parto… Non solo ma anche noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo”.

Nel brano evangelico Gesù ringrazia il Padre perché si rivela non ai sapienti ma ai piccoli e poi si propone come colui che dà ristoro, che condivide il giogo e diventa esempio da imitare: “imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”.

Chiediamo al Signore di darci tanti santi sacerdoti come don Antonio, che “ha imparato da Lui e ha trovato e condiviso ristoro”, ringraziamolo per avercelo donato, di avergli insegnato la mitezza e l’umiltà, ringraziamolo anche per averlo accolto nell’abbraccio eterno della Sua misericordia completando la sua santificazione.

Abbiamo perso un campione della Fede intercessore in terra, abbiamo ricevuto un intercessore più potente in cielo.

✠ Salvatore, arcivescovo