In memoria di don Andrea Riccio

di mons. Filippo Melone

La morte non smette mai di farsi celebrare sempre in un alone di stupore.

Piccoli adulti anziani li porta via sempre con il timbro della meraviglia.

Sembra che si diverta ad arrestare questo frattempo che viviamo.

Non le importa se lascia strisce di amarezza nel cuore di chi resta.

Lei è la morte. Arriva “tacito pede” e in maniera del tutto imprevedibile.

Vittima di questo gioco inaspettato oggi è stato don Andrea Riccio strappato alla vita in modo repentino dal Covid19.

Mentre scrivo mi sembra di vederlo ancora sorridente e pensoso con la sua bicicletta con la stessa andatura e sempre nella stessa direzione: la chiesa di Curti. E così mi piace ricordarlo.

Un uomo semplice, sempre in ascolto di chiunque e senza alcuna distinzione o preferenza.

Un sacerdote vero, genuino e senza alcuna prosopopea.

Pur sapendo molto, l’umiltà era la sua guida. L’orgoglio era straniero al suo modo di essere e di pensare. Le aspirazioni alle altezze non rientravano nel suo ideale di sacerdote, anche se possedeva tutte le qualità per entrare in un orizzonte di prestigio. Amava il sacerdozio e lo viveva con intensità, lasciando ovunque orme di credibilità, che diventavano motivi di sequela.

A volte poteva sembrare un vanesio. Invece no.

Egli aveva solo la consapevolezza di servire la Chiesa e il suo Dio, ai quali si abbandonava incondizionatamente. E in questo abbandono trasfigurava ogni respiro di umanità.

Infatti non è facile dimenticare i tanti giovani che trovavano accoglienza come volontari o obiettori di coscienza nella Caritas o al Centro Fernandes, che dirigeva con responsabilità e con la bellezza della dignità umana e sacerdotale. Tutti, ora e allora, provavano sentimenti di stima e di affetto. Con fermezza ed entusiasmo portava avanti le iniziative pastorali.

Sia nella Chiesa in Capua di Ognissanti e San Leucio e S. Michele in Curti seppe creare contesti di familiarità ecclesiale che tutti ancora ricordano con non senza nostalgia.

Amava e si faceva amare.

Del resto gesti e parole e tutto ciò che costituiva il suo fare era accarezzato da una voglia di donarsi senza corrispettivo e senza plauso.

Don Andrea era un puro di mente e di cuore, a cui non mancava la chiarezza delle intenzioni e la lungimiranza degli obiettivi.

Al primo impatto poteva sembrare di dura cervice. Invece aveva un profondo senso di umanità.

I suoi “no” erano solo improntati a tutte quelle richieste che miravano ad impoverire il Vangelo e la disciplina della Chiesa. Nelle altre realtà della vita era sempre presente soprattutto quando da portare era il dono della persona di Gesù.

Per le cose materiali era un povero.

Poco o nulla spendeva per la sua persona. E tutto ciò che conservava, niente era per sé, ma unicamente per la chiesa. E le due chiese dove ha speso le migliori energie, ricordano ciò che egli ha lasciato loro in seguito ai suoi cambiamenti.

Ebbene per la Diocesi di Capua la morte di don Andrea è una grave perdita.

Una perdita che potrebbe mutarsi in ricchezza per tutti, sacerdoti e laici, se impariamo dal suo esempio a vivere la nostra vita, dando un senso alle opere e ai giorni, che mai egli fece trascorrere senza succhiarne il nettare della loro bellezza che donava al Signore e al prossimo.